La prevenzione del sovraccarico nello sport

Questo lavoro ha lo scopo di descrivere alcuni principi metodologici circa la prevenzione delle alterazioni da sovraccarico funzionale di delicate strutture connettivali come i dischi intervertebrali e la cartilagine articolare. Nelle statistiche degli infortuni sportivi, infatti, predominano le patologie a carico dell’apparato di sostegno (tessuto
 connettivale). L’apparato locomotore e in particolare la colonna vertebrale, possono andare incontro a diverse disfunzioni e/o patologie, la cui causa risiede spesso nell’impostazione dell’allenamento.

La colonna vertebrale (o rachide) è una struttura complessa, in grado di sopportare carichi elevati e di raggiungere grandi ampiezze articolari.Queste qualità apparentemente contraddittorie, sono dovute alla sua particolare anatomia, un insieme di vertebre articolate e collegate da un potente apparato muscolo-legamentoso.Il rachide sul piano frontale appare rettilineo mentre sul piano sagittale presenta 4 curve, che gli conferiscono maggiore resistenza e che sono denominate partendo dall’alto: lordosi cervicale, cifosi dorsale, lordosi lombare e cifosi sacro-coccigea.

Le lordosi (curve a concavità posteriore) presentano un’ampiezza di movimento di gran lunga superiore alle cifosi.

Le vertebre, in numero di 33-34 (7 cervicali, 12 dorsali, 5 lombari, 5 sacrali, 4 - 5 coccigee) pur essendo differenti le une dalle altre secondo la regione di appartenenza, presentano dei caratteri generali, essendo costituite da una parte anteriore, il corpo vertebrale, con funzione di sostegno (statica) e da una parte posteriore, l'arco, con funzione dinamica.

Il corpo e l'arco sono uniti dai peduncoli, mentre lateralmente si distaccano le apofisi trasverse.

Posteriormente l'arco termina con l'apofisi spinosa e lateralmente a questa si organizzano le lamine.

Dall'incrocio tra lamine e peduncoli prendono origine le apofisi o faccette articolari, 2 superiori e 2 inferiori, che sono il mezzo di unione tra la vertebra sovrastante e quella sottostante. La sovrapposizione delle vertebre da luogo al canale vertebrale, che è delimitato anteriormente dai corpi vertebrali, posteriormente dagli archi, mentre nella zona centrale è situato il midollo spinale avvolto dalle meningi.

Tra due vertebre contigue articolate, la sovrapposizione dei peduncoli forma il foro intervertebrale, attraverso il quale fuoriescono i nervi spinali.

Il volume delle vertebre aumenta dall’alto verso il basso, per cui il rachide presenta una base ampia, in grado di sopportare notevoli carichi.

I normali rapporti tra le vertebre sono garantiti da un insieme di legamenti, che creano una connessione estremamente solida e una notevole resistenza meccanica.

La mobilità e la capacità di ammortizzamento del rachide sono determinate dalla presenza di dischi fibrocartilaginei (tessuto connettivale fibroso) interposti tra i corpi vertebrali (dalla seconda vertebra cervicale alla quinta lombare).

Il disco intervertebrale è costituito da una parte periferica (anulus fibrosus o anello fibroso), formata dalla successione di strati fibrosi concentrici e da una parte centrale, detta nucleo polposo, formata da una sostanza gelatinosa, chiusa all'interno dell'anello fibroso.

Il disco intervertebrale è considerato un sistema idraulico per le sue capacità di disidratarsi ed idratarsi; infatti, nella stazione eretta, il nucleo si disidrata per la pressione esercitata dal peso del corpo sui dischi, mentre s’ imbibisce nella posizione di decubito.

Tutto ciò fa sì che la pressione al centro del nucleo non sia mai nulla, anche quando il disco non è sottoposto ad alcun carico.

Questa pressione è dovuta allo stato di idrofilia che determina un rigonfiamento del nucleo contenuto in un alloggiamento inestensibile.

Si viene, così, a realizzare uno stato detto di "precompressione", che aumenta notevolmente la resistenza del disco alle diverse sollecitazioni.

Con l'età il nucleo perde la sua proprietà di idrofilia, la pressione interna e lo stato di precompressione si riducono e la mobilità del rachide diminuisce.

L’apparato motorio passivo e di sostegno (tessuto connettivale) si adatta ai carichi di allenamento analogamente agli altri sistemi corporei, ma in modo più lento (rispetto agli apparati muscolare e cardiocircolatorio) e più difficile da rilevare.

L’adattamento delle strutture connettivali (tendini, legamenti, dischi, cartilagine articolare, etc.) ai carichi di allenamento avviene in ritardo rispetto a quello di altri tessuti, pertanto, è necessario che l’incremento del carico sia continuo e diluito nel tempo.

Bisogna evitare incrementi di carico bruschi o eccessivamente rapidi e valutare attentamente il rapporto tra carico di allenamento e capacità di carico degli atleti.

I principi su esposti vanno applicati specialmente nell’allenamento giovanile dove gli obiettivi devono essere: la formazione multilaterale; l’apprendimento di una tecnica pulita; la costruzione delle basi per carichi futuri più elevati, evitando la prestazione specifica precoce.

Una particolare attenzione deve essere dedicata alla ripresa degli allenamenti dopo infortuni o alterazioni patologiche.

Infatti, non bisogna tornare immediatamente ai carichi di allenamento precedenti, ma si deve aumentare solo il volume del carico, tenendo bassa l’intensità (allenamenti differenziati) e solo successivamente quest’ultima può essere aumentata.

Uno dei problemi legati alla scelta dei carichi di allenamento negli sport di squadra è la diversa età biologica dei soggetti, che si ripercuote sulla diversa tollerabilità individuale al carico, soprattutto da parte dell’apparato di sostegno.

Attualmente è impossibile una prevenzione primaria avente lo scopo di stabilire i valori esatti del carico idoneo a promuovere adattamenti fisiologici senza provocare alterazioni o microtraumi da sovraccarico funzionale.

La metodologia dell’allenamento suggerisce quindi di utilizzare, quando si agisce su un gruppo (specie se giovanile), carichi di allenamento "medi", in grado di produrre adattamenti fisiologici più o meno evidenti in tutti i soggetti.

Chiaramente la scelta dei carichi è un problema delicato e di non facile soluzione e ogni tecnico deve essere cosciente dei propri limiti e delle responsabilità personali circa le future capacità di prestazione dei suoi atleti.

Una valida forma di prevenzione potrebbe realizzarsi attraverso un’indagine medica finalizzata a porre in evidenza eventuali anomalie e/o paradismorfismi nei giovani atleti.

Coloro che dovessero risultare positivi all’indagine suddetta potranno svolgere attività sportiva solo con l’assenso del medico sportivo, il quale potrebbe anche indirizzarli, per un certo periodo, alla pratica di attività riabilitative.

I dischi intervertebrali e la cartilagine articolare sono strutture connettivali prive di vasi e pertanto il loro trofismo avviene in un’alternanza di carico e scarico di pressione.

Quest’alternanza favorisce il metabolismo tissutale, poiché nei momenti di scarico si verifica un afflusso di fluido che rifornisce le cellule di sostanze nutritizie.

Spesso, però, durante e dopo gli allenamenti, viene dedicata scarsa o nessuna attenzione agli esercizi di scarico vertebrale, con conseguente incompleta idratazione del nucleo polposo e sovraccarico funzionale.

Per motivi anatomo-funzionali questi sovraccarichi si localizzano prevalentemente nel rachide lombo-sacrale( ma anche nel rachide cervicale), creando nel tempo, degenerazioni articolari, patologie discali, lombalgie, sciatalgie, etc.

Per prevenire le alterazioni da sovraccarico funzionale è consigliabile, sul piano metodologico, effettuare:

  • esercizi di scarico sia durante che dopo l’unità di allenamento;
  • alcune unità di allenamento esclusivamente per gli esercizi di scarico e di rilassamento;
  • più unità brevi di allenamento (laddove possibile) e non poche unità molto lunghe; 
  • sempre un adeguato riscaldamento, allo scopo di migliorare l’ elasticità dei muscoli, il trofismo delle strutture connettivali, la capacità di carico e di ridurre il rischio di infortuni.
Molti disturbi vertebrali sono dovuti a evidenti squilibri artromuscolari, che nel tempo, se non riequilibrati, possono determinare condizioni patologiche o comunque sovraccarichi funzionali, che ridurrebbero anche lo sviluppo della massima capacità di prestazione.

Gli squilibri artromuscolari sono il prodotto di fenomeni di retrazioni e/o indebolimento di alcuni distretti muscolari.

Questa situazione è osservabile in molti atleti a livello di diverse catene muscolari e soprattutto a livello del rachide lombare, dove esiste una tendenza alla retrazione dei muscoli sacrospinali, ileo-psoas e retto femorale, in seguito alla quale il bacino tende all’antiversione con aumento della lordosi lombare.

L’iperlordosi lombare è una condizione biomeccanica errata, facilitata spesso dal contemporaneo indebolimento dei muscoli addominali e glutei.

Pertanto, fin dalla formazione giovanile bisogna correggere eventuali squilibri artromuscolari in modo da facilitare lo sviluppo della massima capacità di prestazione.

Molte ricerche (Brenke e Dietrich,1986) indicano che il rapporto ottimale tra la forza espressa dalla muscolatura dorsale e quella espressa dalla muscolatura addominale, dovrebbe essere 1:1, ma purtroppo tale situazione ideale raramente è presente negli atleti, specialmente nelle categorie giovanili, a causa della eccessiva ripetizione di esercizi e gesti sportivi specifici.

Il tecnico, quindi, ha il compito di considerare questo problema e di intervenire con opportuni mezzi di allenamento, per ristabilire un certo equilibrio artromuscolare.

Dal punto di vista metodologico bisogna individuare i gruppi muscolari deficitari (in genere sono gli antagonisti dei muscoli più impegnati nei gesti sportivi specifici) e sottoporli ad un programma di potenziamento muscolare.

Inoltre, si devono individuare i muscoli (e le catene muscolari) ipoestensibili o retratti e sottoporli ad un programma di stretching (allungamento muscolare).

Per raggiungere questo obiettivo, sarebbe opportuno impiegare, accanto alle tecniche di stretching settoriale (statico e post-isometrico), un recente metodo di stretching, ideato dal terapista francese E. PH. Souchard e definito "stretching globale attivo".

In modo succinto si può affermare che questo metodo consiste nell’esecuzione di posture di allungamento globale, che stirano non il singolo muscolo, ma intere catene muscolari contemporaneamente.

Ciascuna postura deve essere mantenuta per alcuni minuti, evitando qualsiasi forma di compenso (aumento delle lordosi, blocco del respiro, spalle anteriorizzate, etc.), respirando in modo naturale e rilassato e allungando dolcemente e progressivamente le diverse catene muscolari.

Queste posture possono effettuarsi, anche, su particolari attrezzi, che garantiscono: un grado di allungamento personalizzabile per ciascun soggetto; un corretto allineamento posturale; la possibilità di eseguire, contro opportune resistenze, una contrazione statica eccentrica, che permette di migliorare notevolmente l’elasticità delle diverse catene muscolari (vedi foto).

L’applicazione sistematica di questa metodologia permette di ottenere i seguenti benefici:

  • elasticizzare le catene muscolari retratte.
  • Ridurre il sovraccarico artromuscolare e preparare l’organismo in modo ottimale al successivo allenamento.
  • Migliorare l’ampiezza di movimento e la fluidità del gesto.
  • Prevenire i danni da sovraccarico funzionale dell’apparato di sostegno.
  • Facilitare il refluo venoso.
Il potenziamento muscolare, invece, deve essere svolto seguendo alcune indicazioni, allo scopo di risparmiare il tessuto connettivo e prevenire eventuali lesioni.

Innanzitutto, l’allenamento della forza con sovraccarichi (pesi) deve essere svolto solo dopo aver preparato gli atleti alla corretta tecnica esecutiva, in senso fisiologico e cinesiologico.

Infatti, un carico sollevato con tecnica errata (ipercifosi o iperlordosi) determina sollecitazioni abnormi e anomale sulle strutture vertebrali, che provocheranno microtraumi e degenerazioni precoci.

Per evitare queste ripercussioni è opportuno effettuare alcuni esercizi con pesi in scarico (decubito).

Nel potenziamento muscolare degli arti inferiori è opportuno non eccedere in alcuni esercizi come gli squats, poichè sollecitano notevolmente strutture connettivali delicate (dischi lombari, articolazione del ginocchio con relativi menischi e cartilagine articolare).

Un’altra causa di sovraccarico funzionale è rappresentata dall’allenamento finalizzato al miglioramento dell’elevazione attraverso varie forme di salti e saltelli.

Le ricadute, infatti, possono determinare alterazioni o microtraumi a carico di: tallone, caviglia, ginocchio e rachide lombosacrale.

Per prevenire questi effetti negativi, il tecnico deve insegnare la corretta tecnica esecutiva per ammortizzare adeguatamente la ricaduta.

Dal punto di vista metodologico è opportuno attuare i seguenti accorgimenti:

Per alleggerire le strutture connettivali affaticate è consigliabile praticare attività motorie diverse da quella solitamente svolta, allo scopo di "risparmiare" le zone corporee sovraccaricate.

Inoltre, per una valida ed efficace prevenzione delle alterazioni da sovraccarico funzionale è opportuno praticare in modo sistematico alcune delle seguenti attività:

  • esercizi di scarico;
  • nuoto;
  • esercizi di rilassamento;
  • esercizi di stretching;
  • sauna, massaggio e idromassaggio;
  • giochi blandi con e senza palla.
In conclusione, si può affermare che per prevenire efficacemente le patologie da sovraccarico funzionale sono necessari ulteriori studi e ricerche scientifiche, ma intanto è auspicabile una collaborazione fattiva tra medico, tecnico, fisioterapista e atleti allo scopo di individuare precocemente le cause e di rimuoverle.

BIBLIOGRAFIA

N.B. Per maggiori informazioni vedi la rivista: Sport e Medicina, numero 4, luglio-agosto 2003 http://www.sportemedicina.it/.

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